Un casco da astronauta e una mappa sul viso
"Wonder": quando, in fondo, basterebbe soltanto guardare
Breve nota prima di iniziare.
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August “Auggie” Pullman è un bambino che a 10 anni ha già sostenuto 27 interventi chirurgici: ha la sindrome di Treacher Collins, una malattia genetica che determina anomalie cranio-facciali che possono comportare problemi visivi, uditivi e respiratori. Lo sviluppo intellettivo è solitamente normale, e infatti Auggie è un bambino molto sveglio. Vorrebbe diventare astronauta: nello spazio nessuno può obiettare il suo aspetto.
Auggie deve iniziare la prima media: fino a quel momento ha sempre frequentato lezioni private, sia per paura di complicazioni sanitarie che delle reazioni dei bambini. Dal primo giorno si ritroverà in una situazione in cui il “diverso” è difficile da accettare. Scoprirà, faticosamente, di poter farsi degli amici, verrà preso di mira dai bulli e sostenuto da quei pochi che capiscono che Auggie non è solo la sua faccia deforme.
Il film è mostrato da quattro punti di vista diversi, ma gli sguardi sono molti di più. Ogni personaggio del film ha un modo tutto suo di affrontare la diversità e la difficoltà del rapporto con Auggie.
C’è spazio per tutto, dall’educazione dei figli (affrontata in maniera molto diversa dai genitori dei protagonisti, a volte anche con giustificazioni piuttosto discutibili) e degli alunni, al tema familiare (non è facile ritagliarsi un posto in una famiglia in cui un elemento richiede molte più attenzioni degli altri), dall’innamoramento alla delicata fase della pre-adolescenza.
Sono tematiche molto rischiose da affrontare in un prodotto cinematografico: è difficile parlarne senza cadere in stucchevoli cliché, luoghi comuni, scene trite e ritrite, buonismo e perbenismo. Eppure il regista Stephen Chbosky riesce perfettamente a costruire un film intelligente e mai smielato, anche nelle parti più “prevedibili”.
Il cast è d’eccezione e riesce a valorizzare bene la trama: Owen Wilson si toglie la maschera di “giullare” e si cala in un ruolo drammatico di spessore, Julia Roberts costruisce in maniera impeccabile la figura di una mamma solidissima e al contempo fragilissima, Jacob Tremblay con la sua performance riesce a rendere realistici anche i chili di trucco inevitabilmente necessari.
Il punto fondamentale del film resta comunque lo sguardo: è tutto un gioco di sguardi, dalla modalità narrativa stessa agli sguardi di diffidenza, che a poco a poco cambiano e si trasformano nel rapporto con la diversità (non soltanto quella del protagonista, ma anche quella tra i diversi personaggi del film).
Perché, con le parole del preside Tushman, “forse possiamo cambiare il modo in cui guardiamo le cose”.
Wonder insegna che spesso, nella vita reale, basterebbe così poco: “se davvero vuoi vedere come sono le persone, tutto quello che devi fare è guardare”.
Puoi guardare “Wonder” su RaiPlay, Netflix, Prime Video, NowTV e Sky.
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